sabato 13 aprile 2024

RECENSIONE MANGA: L'usuraio (Planet Manga) di Shohei Manabe


[SERIE IN CORSO]

RECENSIONE NO SPOILER

“…Quando gli agnelli si perdono sulla montagna, disse. Gridano. Qualche volta arriva la madre. Qualche volta il lupo.” – Meridiano di sangue, Cormac McCarthy

Un po’ come delle pecorelle smarrite, la fauna umana che popola le pagine de l’Usuraio spesso si trova a un punto saliente della propria misera vita, a quel bivio tra il mettere da parte le meschinità, rimboccarsi le maniche e cercare di restare a galla nel mare di merda in cui sguazza, o diventare anonima carne da macello, a volte trascinando con sé nel baratro anche i familiari e i presunti amici. E, inutile dirlo, scelgono tutti – inconsapevolmente – la strada più facile: quella per il mattatoio. 

Shohei Manabe, autore de L’Usuraio, scava a mani nude nel torbido e nel marcio del suo Paese, cercando di tracciare un percorso accidentato tra le zone d’ombra del Giappone odierno. Ma in realtà, quello che fa è restituirci tutto il peggio del mondo contemporaneo, tutte le bassezze e brutture di un’umanità che, forse, sta muovendo un ultimo passo evolutivo verso l’auto annullamento e l’autodistruzione. Per cui dimenticatevi i picnic tra i ciliegi in fiore, il Giappone zen, quello dei salotti dolceamari di Ozu o dell’avanguardia tecnologica, la gentilezza compassata, scordatevi gran parte di ciò che vi affascina del paese del Sol Levante, perché leggendo l’Usuraio ci si rende conto che non è tutto oro quel che luccica, che quella che da lontano sembrava un’opportunità è in realtà un’altra trappola, e ormai sei troppo vicino al punto di non ritorno per girare i tacchi e non cascarci con tutte le scarpe, e il prezzo da pagare perché si avverino i tuoi desideri ha interessi altissimi, e spesso coincidono con la tua libertà.

Suddivisa in tante mini-saghe, l’opera di Manabe si articola in 46 densissimi volumi. A volte le figure del giovane usuraio Ushijima e dei suoi collaboratori rimangono marginali, e intervengono nella storia spesso per dare il colpo di grazia agli sventurati che hanno chiesto loro soldi in prestito. 

Manabe, come il suo protagonista, non fa sconti agli indebitati, e il mangaka li ritrae in tutte le loro possibili miserie, mappando, anche attraverso i loro pensieri, un universo cartaceo di decine di personalità diverse tra loro ma in fondo in fondo con le stesse similitudini, essendo tutti potenzialmente in bancarotta, quindi al verde, inetti nel carattere, disillusi o fin troppo immersi nelle proprie illusioni, alienati, disoccupati, dipendenti dal pachinko (più o meno l’equivalente asiatico delle slot machine), giovani che vivono per strada o a un passo dal viverci, gente tenuta al guinzaglio da parafilie assortite, da desideri spiccioli come avere i soldi per comprarsi vestiti alla moda per omologarsi a colleghe oche, per comprarsi la droga, per comprarsi il sesso (spesso con minorenni e accompagnato da malattie veneree)… insomma, per comprarsi tutto il possibile ancor prima della propria sopravvivenza: sopravvivenza non dell’anima, come diceva Curzio Malaparte, ma della pelle, la schifosa pelle.

Il romanzo, edito da Adelphi, citato qui sopra

Attraverso disegni che migliorano di volume in volume e di saga in saga, certo lontani dalla perfezione dei tratti mainstream ma perfettamente funzionali alla storia, Manabe si dimostra capace di orchestrare decine di personaggi diversi, consolidando di storia in storia la propria (e la nostra) visione pessimistica della società e del mondo, del tutto “satura di parassiti senza dignità” – sovente lasciando finali aperti sul futuro dei suoi personaggi, che raramente riescono a risollevarsi dalla polvere, essendo veramente in pochi a meritare qualcosa che assomigli a un lieto fine.

Ma quella di Manabe sensei non è una provocazione fine a se stessa, un atteggiamento voyeuristico di chi si compiace di ritrarre lo squallore per condannarlo: secondo me l’autore ha voluto, attraverso l’Usuraio, metterci di fronte a noi stessi, alla nostra volontà di farcela o meno, alle nostre paure e vulnerabilità, conscio che per risolverci in quanto singolarità e collettività non bisogna far finta che i problemi non esistano nascondendoli sotto il tappeto sociale o voltandoci dall’altra parte, ma riconoscendoli e riconoscendoci in certe ferite comuni a tutti: certo, alcune probabilmente non guariranno mai, anzi sicuramente diventeranno più numerose e insanabili delle altre, ma non è affidandoci a un intervento divino (il Dio della Grana) che le ferite non suppureranno e tutto si risolverà, nei secoli dei secoli amen… e nel suo piccolo, Manabe – la cui opera è ahinoi passata in sordina nel nostro Paese – lo sa, per questo ha deciso di dedicare ANNI a quest’epopea sugli ultimi e su chi li sfrutta, calandosi sulla carta in situazioni difficili e disfunzionali per gettare una luce sui bassifondi del Giappone e dell’animo umano.



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